Libertà di informazione in rete (e soprattutto nelle reti locali)

In questi giorni si sta discutendo molto sulla libertà di informazione in generale. Oggi è il giorno in cui doveva svolgersi la manifestazione nazionale su questo tema, manifestazione frettolosamente annullata a causa dei fatti accaduti in Afghanistan. Vi prego di non considerare il mio ragionamento  non rispettoso dei drammi umani nazionali o personali, ma sinceramente non vedo un nesso logico tra i due fatti distanti tra l’altro tre giorni. Sinceramente non capisco molto neanche le posizioni di chi manifesta per la libertà di informazione parlando dal pulpito della deontologia professionale giornalistica esercitata all’interno dei grandi gruppi editoriali italiani (che sostanzialmente sono solo 4 o 5) strizzando l’occhio a chi in questi anni sta cercando di mettere il bavaglio all’unico strumento che a tutt’oggi può garantire la libertà di informazione non solo in Italia ma nel mondo, Internet.

Sono di ieri gli autorevolissimi articoli di Guido Scorza su Punto Informatico e di Marco Calamari, sempre su PI, che ci informano di quale entità siano i rischi che la rete sta correndo oggi a causa dei tentativi di introdurre in Italia un qualsiasi tipo di regolamentazione da fare invidia anche ai governi cinesi o coreani.

Ma non mi dilungo oltre su questi temi.

L’altro elemento che vorrei aggiungere alla discussione è proprio il fattore “locale” della libertà di informazione. Ne parlo da operatore del settore da quasi 10 anni (ahimé, uno dei più vecchi d’Italia).

Per anni la geo-targhettizzazione di internet è sembrata la cenerentola delle dinamiche informative della rete. Come se la rete, a livello locale, fosse poco più che una piccola estensione dei contenuti della carta stampata. La rete è stata considerata come un modo comodo e a basso costo di distribuire informazioni locali, soprattutto in ambienti dove è impossibile accedere a progetti editoriali di altro genere (carta/televisione/radio).

Non a caso l’informazione locale online ha funzionato di più sui piccoli centri e non nelle grandi città.

Di fatto quindi i contenuti delle informazioni locali sono sembrati per anni meno importanti di quelli distribuiti dai grandi mezzi di informazione. Questa però è una visione miope rispetto all’informazione a carattere locale.

L’avvento della globalizzazione dell’informazione ha reso possibile che i grandi temi di carattere mondiale fossero alla portata di tutti, e questo è senz’altro un contributo positivo alla conoscenza, ma di fatto questo fenomeno ha introdotto delle distorsioni nelle dinamiche dell’informazione, soprattutto quando questa è distribuita in maniera uniforme da pochi gruppi editoriali.

Da sempre invece le comunità locali hanno prestato molta attenzione alle dinamiche della vita sociale del circondario (più o meno allargato). Da sempre le informazioni locali sono circolate con il passaparola, con il sentito dire, con il sentito al bar o in piazza.

Da sempre l’informazione di interesse locale è stata creata e distribuita costruendosi dal basso, in una modalità che oggi, all’epoca di Internet, chiameremmo Users Generated Content. A livello locale non è mai esistita, né mai se ne è sentita la mancanza, la figura di un professionista dell’informazione che “generasse” il contenuto da veicolare agli altri componenti della collettività. L’informazione locale nasce, si diffonde, crea gruppi di discussione, genera azioni personali o collettive, in maniera auto-generante. Il valore del messaggio distribuito è sempre stato associato all’autorevolezza della fonte.

Questa riflessione è importante perché Internet, in questa sua nuova forma che permette agli utenti di creare e sviluppare le discussioni locali online, permette alle comunità locali di riappropriarsi delle proprie dinamiche della comunicazione, parzialmente oscurate dall’idea introdotta da televisione e giornali nazionali che i temi nazionali, qualunque essi siano, fossero più importanti dei temi locali della vita quotidiana.

La produzione dell’informazione a carattere locale è e sarà in futuro sempre più un grande ambiente “Users Generated Content”, che per merito di Internet sarà sempre più importante e determinante per le scelte politiche, economiche e sociali.

Il ruolo dei professionisti dell’informazione locale non dovrà più essere inteso come “i produttori dell’informazione” ma come i “collettori” della comunicazione locale che, qualora acquisiscano autorevolezza e competenza, potranno avere il merito di organizzare e rendere disponibili nel miglior modo possibile i contenuti voluti e generati dagli utenti. Inoltre, sempre se competenti e autorevoli, potranno essere gli “ispiratori” di nuove discussioni e tematiche, che però dovranno di nuovo essere calate tra gli utenti e sottoposte al normale ciclo di vita delle discussioni.

In tutta questa ottica, il valore negativo delle proposte di legge Carlucci/Barbareschi, che imporrebbero dei forti limiti sulla generazione di contenuti degli utenti, diventa ancora più negativo e pericoloso, perché vanno a minare le fondamenta della nuova libertà di informazione che proprio internet sta rendendo possibile.

 

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Identità digitali e politica, storia di un disamore.

Complimenti Laura per questo illuminante e illuminato articolo.
Mi permetto di aggiungere due cosette sempre sull’identità digitale e i rapporti politica/web.
Ero piccolo (di web, s’intende) quando imperversavano i forum. A loro modo erano il web collaborativo e partecipativo (web 2.0) che è sempre esistito. Lì l’anonimato era quasi d’obbligo. Ricordo la nascita di vere identità digitali, autorevoli. Ricordo per esempio ZioBudda, vero guru del mondo Linux, la cui identità reale non ha mai interessato nessuno e ricordo anche un mondo di forum disordinati e zeppi di anonimi e nickname impronunciabili.

Poi venne il 2004, nacque il vero web 2.0, esplosero i blog, nacque Technorati, YouTube, Facebook, Twitter. Piano piano le identità digitali inventate lasciarono il posto alle identità digitali degli utenti reali. Io sono Fabrizio Caccavello (di carne); le mie identità digitali sul web le trovate come Fabrizio Caccavello, dappertutto; talvolta uso il mio nickname “cfabry”. I miei amici più cari mi chiamano “fabry”, anche nella vita reale. Ciononostante mi è capitato di lasciare commenti qua e là sul web firmandomi “anthares” o semplicemente “f”.

Ha ragione Laura, una firma o una identità, come un registro comunicativo. Se chiamo mia moglie al telefono non le dico “ciao, sono Fabrizio Caccavello”.
Se lascio un commento futile o banale qui, su orvietonews.it posso anche firmarlo “anthares”.
Come avrete capito non sono uno che ama troppo le regole convenzionali, l’importante è il messaggio e la capacità di saperlo trasmettere al proprio target nel modo più efficace possibile. Ma anche nel modo più bidirezionale possibile. Dire qualcosa senza avere la capacità di ascoltare il feedback dei nostri interlocutori non ha senso. Ogni volta che pubblico un post su questo blog o modifico il mio stato su Facebook resto lì ad aspettare le reazioni della rete. Se arrivano rispondo quasi sempre.

E’ per questo però che i politici nostrani non amano internet. La politica old-style come quella italiana infatti non ama certo il feedback, anzi, l’autoreferenzialità è l’elemento cardine. Il modo di fare politica di cui per esempio Silvio Berlusconi è l’esponente primario, è quella del discorso unidirezionale. Io dico, voi ascoltate. E’ per questo per esempio che le televisioni di Berlusconi sono ben fatte e il web di Berlusconi è invece molto primordiale. La stessa politica di Veltroni (e D’Alema) è fatta allo stesso modo. C’è sempre un capo che non ha alcun bisogno del feedback, del confronto, del messaggio che nasce dal basso.
E a livello locale è la stessa cosa.
Il centrosinistra orvietano ha scavato la propria fossa negli ultimi 10 anni. Dieci lunghissimi anni di autoreferenzialità, di incomunicazione totale. Un centro sinistra che ha governato demandando le azioni di comunicazione allo staff, all’ufficio stampa. Mai un’esposizione personale. Si sono preoccupati di occupare il web con il loro santino elettorale come se il web fosse un posto alternativo al muro sul quale affiggere un manifesto.
Di oltre 15 campagne elettorali fatte per persone singole e partiti quasi nessuno è riuscito a sfruttare i feed RSS. Quasi nessuno si è fatto un blog negli anni antecedenti alle elezioni per usare il web come strumento per la propria mission politica.

E ora le cose non sono affatto cambiate.

Un esponente del PD mi invita su Facebook ogni 3 ore a un evento con Ignazio Marino. Non mi ha mai chiesto cosa ne penso di Ignazio Marino, continua a invitarmi ai suoi eventi. Facebook come una locandina attaccata sulla porta di casa mia.

E il sindaco Concina, seppure esperto di comunicazione, ci ha dimostrato di essere attento alla SUA comunicazione. Infatti non ha sbagliato un discorso, non ha sbagliato un intervento, non ha sbagliato una tempistica.
Ma la sua identità digitale, sul web, è nata adesso, dopo la sua candidatura alle elezioni di Orvieto, prima non aveva neanche un sito internet e ora che ce l’ha ha lo strumento arcaico che hanno gli altri politici nazionali. Poco più di una brochure.
Non siamo ancora riusciti a riattivare la rubrica “Chiedilo al Sindaco” alla quale Stefano Mocio rispondeva stancamente con cadenza bimestrale (cosa che faceva inferocire i lettori).
Insomma, rimango davvero stupito quando ancora ci si interroga sulle questioni dell’anonimato, dell’uso del web da parte dei politici, sull’importanza che si deve dare alla comunicazione che arriva sul web (non che parte dal web).
Rimango stupito perché penso sempre che chi fa politica abbia il dovere di approfondire queste cose, ma si sa, dalle nostre parti la politica è invece solo un voto, e una sedia da occupare.
Ecco perché non mi piace la politica.
 

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Chiave di ricerca “Orvieto” su Google in lingua inglese: una bella sorpresa.

Da qualche giorno gli utenti inglesi che cercano la parola “Orvieto” sul motore di ricerca più famoso al mondo (Google), si trovano in prima pagina, o al massimo in seconda, dipende dai momenti, la pagina della Open Office Conference, la conferenza mondiale degli sviluppatori di Open Office, la suite per computer più famosa al mondo, che si terrà a Orvieto il 3-4-5 Novembre 2009. Per qualcuno un po’ disattento questa notizia può non essere molto interessante, ma chi come me si occupa dei processi di comunicazione web oriented è sicuramente da analizzare.

Penso che Google abbia posizionato così bene questa pagina per alcuni motivi fondamentali (vado a intuito senza ricerche particolari, ma non penso di sbagliare molto)

  1. Gli algoritmi che determinano l’ordine delle SERP terranno sicuramente conto dell’autorevolezza della pagina di Open Office;
  2. Decine di pagine web sparse in tutto il mondo e in tutte le lingue avranno un link sulla parola Orvieto, che punta a questa pagina;
  3. Siti già posizionati e considerati autorevoli (come orvietonews.it per esempio) con la chiave Orvieto, linkano a questa.

La cosa interessante è che in questo caso il processo è avvenuto più o meno casualmente. Nel senso che nessuno di coloro che in gergo si chiamano SEO (Search Engine Optimization) ha contribuito a questo posizionamento e i normali processi di indicizzazione di Google hanno fatto il loro lavoro in maniera proficua.

L’altra cosa interessante è quella relativa al cosiddetto Marketing Territoriale o Marketing Urbano, cioè le strategie di comunicazione che permettono a un ambito territoriale ristretto di promuovere il proprio brand. Talvolta a fatica si fanno operazioni di altissimo costo e con scarsissimi risultati. Si fanno azioni sia online che sul territorio per cercare di proporre il proprio marchio a un numero sempre maggiore di possibili clienti.

Per esempio se si volesse commissionare a un SEO (serio) il posizionamento di una pagina di Orvieto nelle prime pagine di Google in lingua inglese, penso che il conto non scenderebbe al di sotto delle 10.000 euro all’anno. Non parliamo poi delle azioni di marketing territoriale effettuate sul territorio per esempio con la partecipazione a fiere o mostre a tema. In quei casi i costi lieviterebbero ancora di più.

In questo caso si può dimostrare come la rete, più o meno efficacemente ma comunque a costi sempre molto limitati e talvolta quasi nulli, è lo strumento primario per il posizionamento di un brand territoriale. Web Marketing Territoriale.

Tutto questo, come ho già detto, in maniera casuale, ossia, normale per la rete. E pensate per un attimo se ci fosse stato qualcuno che avesse “governato” questo processo, avesse cioè cavalcato quest’onda, avesse tracciato gli aspetti tecnici di questo successo, ne avesse raccolto i frutti ridistribuendo in giro questa informazione, condividendola su Facebook, costruendo immediatamente un progetto web dedicato all’evento ecc.

Di tutte queste cose la nostra città non si interessa, troppo impegnata a lamentarsi di ogni cosa. Come ho già detto in passato, se ognuno facesse quello che sa fare, in un ambiente relazionato, condiviso, organizzato, questa città avrebbe le caratteristiche, le competenze, le professionalità per essere ai vertici degli interessi internazionali.

Se c’è ancora qualcuno che pensa che si possano fare strategie di Marketing Urbano (Territoriale) attraverso la BiT e le gli eventi, faccia pure. D’altra parte ogni settore ha i suoi guru.

Come dice una mia amica, io vivo a Orvieto come fosse Parigi. Grazie al web.

 

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IWA e Orvieto, protocollo d’intesa per l’alta formazione [video di presentazione]

Nei giorni scorsi è stato siglato un protocollo d’intesa tra International Webmasters Association (IWA HWG) e Centro Studi Città di Orvieto (CSCO) per permettere la realizzazione di alcuni corsi di alta formazione delle nascenti aree professionali del web.

Dal 2006 IWA è impegnata nel difficile lavoro di ricerca di uno standard delle professioni del web (editor’s draft vers. 0.4 – 2008-08-27), nonché nell’individuazione dei percorsi formativi necessari per raggiungere tali obiettivi di professionalità.

In questa ottica IWA ha intenzione di istituire dei corsi di formazione e delle giornate di sensibilizzazione sui temi legati alle varie professioni del web scegliendo Orvieto come location e il CSCO come partner per la realizzazione.

Sono molto contento di aver dato l’input iniziale all’accordo e di essere stato l’anello di congiunzione tra le due organizzazioni. Vorrei ringraziare Roberto Scano (IWA), Roberto Castaldo (IWA), Stefano Talamoni (CSCO) e Pirkko Peltonen (CSCO) per aver reso possibile questa partnersheep che spero possa rivelarsi proficua per tutti.

Intanto a breve verrà definita la data per il “semantic day” che dovrebbe svolgersi a Ottobre a Orvieto. Ne parleremo a breve.

Guarda il video di presentazione di orvieto.tv

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