Complimenti Laura per questo illuminante e illuminato articolo.
Mi permetto di aggiungere due cosette sempre sull’identità digitale e i rapporti politica/web.
Ero piccolo (di web, s’intende) quando imperversavano i forum. A loro modo erano il web collaborativo e partecipativo (web 2.0) che è sempre esistito. Lì l’anonimato era quasi d’obbligo. Ricordo la nascita di vere identità digitali, autorevoli. Ricordo per esempio ZioBudda, vero guru del mondo Linux, la cui identità reale non ha mai interessato nessuno e ricordo anche un mondo di forum disordinati e zeppi di anonimi e nickname impronunciabili.
Poi venne il 2004, nacque il vero web 2.0, esplosero i blog, nacque Technorati, YouTube, Facebook, Twitter. Piano piano le identità digitali inventate lasciarono il posto alle identità digitali degli utenti reali. Io sono Fabrizio Caccavello (di carne); le mie identità digitali sul web le trovate come Fabrizio Caccavello, dappertutto; talvolta uso il mio nickname “cfabry”. I miei amici più cari mi chiamano “fabry”, anche nella vita reale. Ciononostante mi è capitato di lasciare commenti qua e là sul web firmandomi “anthares” o semplicemente “f”.
Ha ragione Laura, una firma o una identità, come un registro comunicativo. Se chiamo mia moglie al telefono non le dico “ciao, sono Fabrizio Caccavello”.
Se lascio un commento futile o banale qui, su orvietonews.it posso anche firmarlo “anthares”.
Come avrete capito non sono uno che ama troppo le regole convenzionali, l’importante è il messaggio e la capacità di saperlo trasmettere al proprio target nel modo più efficace possibile. Ma anche nel modo più bidirezionale possibile. Dire qualcosa senza avere la capacità di ascoltare il feedback dei nostri interlocutori non ha senso. Ogni volta che pubblico un post su questo blog o modifico il mio stato su Facebook resto lì ad aspettare le reazioni della rete. Se arrivano rispondo quasi sempre.
E’ per questo però che i politici nostrani non amano internet. La politica old-style come quella italiana infatti non ama certo il feedback, anzi, l’autoreferenzialità è l’elemento cardine. Il modo di fare politica di cui per esempio Silvio Berlusconi è l’esponente primario, è quella del discorso unidirezionale. Io dico, voi ascoltate. E’ per questo per esempio che le televisioni di Berlusconi sono ben fatte e il web di Berlusconi è invece molto primordiale. La stessa politica di Veltroni (e D’Alema) è fatta allo stesso modo. C’è sempre un capo che non ha alcun bisogno del feedback, del confronto, del messaggio che nasce dal basso.
E a livello locale è la stessa cosa.
Il centrosinistra orvietano ha scavato la propria fossa negli ultimi 10 anni. Dieci lunghissimi anni di autoreferenzialità, di incomunicazione totale. Un centro sinistra che ha governato demandando le azioni di comunicazione allo staff, all’ufficio stampa. Mai un’esposizione personale. Si sono preoccupati di occupare il web con il loro santino elettorale come se il web fosse un posto alternativo al muro sul quale affiggere un manifesto.
Di oltre 15 campagne elettorali fatte per persone singole e partiti quasi nessuno è riuscito a sfruttare i feed RSS. Quasi nessuno si è fatto un blog negli anni antecedenti alle elezioni per usare il web come strumento per la propria mission politica.
E ora le cose non sono affatto cambiate.
Un esponente del PD mi invita su Facebook ogni 3 ore a un evento con Ignazio Marino. Non mi ha mai chiesto cosa ne penso di Ignazio Marino, continua a invitarmi ai suoi eventi. Facebook come una locandina attaccata sulla porta di casa mia.
E il sindaco Concina, seppure esperto di comunicazione, ci ha dimostrato di essere attento alla SUA comunicazione. Infatti non ha sbagliato un discorso, non ha sbagliato un intervento, non ha sbagliato una tempistica.
Ma la sua identità digitale, sul web, è nata adesso, dopo la sua candidatura alle elezioni di Orvieto, prima non aveva neanche un sito internet e ora che ce l’ha ha lo strumento arcaico che hanno gli altri politici nazionali. Poco più di una brochure.
Non siamo ancora riusciti a riattivare la rubrica “Chiedilo al Sindaco” alla quale Stefano Mocio rispondeva stancamente con cadenza bimestrale (cosa che faceva inferocire i lettori).
Insomma, rimango davvero stupito quando ancora ci si interroga sulle questioni dell’anonimato, dell’uso del web da parte dei politici, sull’importanza che si deve dare alla comunicazione che arriva sul web (non che parte dal web).
Rimango stupito perché penso sempre che chi fa politica abbia il dovere di approfondire queste cose, ma si sa, dalle nostre parti la politica è invece solo un voto, e una sedia da occupare.
Ecco perché non mi piace la politica.