L’incredibile articolo sulla Dislessia apparso su “Il Giornale” e il commento di un lettore. Impietoso paragone.

Mi occupo di informazione professionale da 10 anni come editore di orvietonews.it. Per decine di volte ho visto i grandi giornalisti auto celebrarsi come “unici detentori dell’informazione professionale” cercando di proteggersi dal Citizen Jounalism. Questo caso però evidenzia come un giornalista, probabilmente bravo e preparato, possa incappare in una bufala pazzesca.

Per fortuna che il pezzo, oltre che sul giornale di carta dove mi auguro che l’abbiano letto poche persone, sia stato pubblicato anche su internet e in questo modo abbia stimolato la riposta di una persona qualsiasi che, con un pezzo di vero Citizen Journalism, ha sistemato le cose. Ve li propongo entrambi.

Guido Mattioni – giornalista de “Il Giornale”

Da ieri è legge. Anche un caprone in matematica quale era ai suoi più che remoti tempi scolastici chi scrive – «Bestia!», mi apostrofava il professore di liceo – ha una possibilità in più. Farsi dare per malato dal Sistema sanitario nazionale in quanto affetto da una delle patologie finite sotto l’ampio ombrello della sigla Dsa, che sta per Disturbi specifici di apprendimento. Tutto, in altre parole, potrà essere fatto passare per una forma di dislessia. Malattia quella sì davvero grave, ma che non dovrebbe diventare, almeno alla timida logica del buon senso, il cavallo di Troia per trasformare di fatto le nostre scuole in ospedali. O quel che è peggio i nostri ragazzi in precoci frequentatori dei lettini degli psicologi. Senza dimenticare che una diagnosi di Dsa, magari sbagliata, ricevuta in età scolare, accompagnerà il soggetto lungo tutta la vita, anche nei futuri colloqui di lavoro. E invece è proprio nella direzione di una grande clinica regolata dal suono della campanella che la neo-legge sembra portare. Con esiti in parte esilaranti. Nel caso infatti che il giovane “malato” manifesti palese intolleranza a numeri, percentuali e radici quadrate, si parlerà di “discalculia”. Qualora accusi invece manifestazioni allergiche nei confronti della scrittura, il medico gli diagnosticherà una “disgrafia”. Che nei casi più gravi può peggiorare in “disortografia”. Disturbo che qualche cervellone con evidenti incompatibilità – lui sì – all’uso di una decente lingua italiana, ha già attribuito nel suo vergare ostrogoto a «difficoltà nei processi linguistici di transcodifica». Un tempo bastava molto meno per essere bocciati. La legge, della quale forse non proprio tutti sentivano la mancanza, è stata invece approvata all’unanimità dalla Commissione Cultura del Senato. Che ha dato così il via definitivo al pacchetto di norme sui «Disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico». Pacchetto che aveva come prima firmataria la senatrice Vittoria Franco del Pd. Evidentemente, proprio come le vie del Signore sono infinite – ma Lui ci mette un po’ più di scrupolo – lo sono anche quelle dell’unanimismo bipartisan. Col risultato che il “Sì” è stato bulgaro. Tutti allineati. Guido Possa e Franco Asciutti, entrambi del Pdl e rispettivamente presidente e capogruppo in Commissione, non hanno per esempio lesinato sull’aggettivazione generosa definendo «storica» una legge che introduce tra le patologie dell’apprendimento anche oggettivi orrori linguistici (su quelli di merito si cimenteranno gli scienziati) come appunto le succitate discalculia e disortografia. Tant’è. La platea dei legislatori entusiasti ci informa inoltre che «con la nuova legge gli insegnanti dovranno essere consapevoli che per valutare in modo giusto e corretto gli alunni con disturbi di apprendimento servono criteri differenti». Quali? «Per esempio compiti più brevi, visto che fanno molta più fatica, privilegiare le interrogazioni orali sulle verifiche scritte, attenzione al contenuto dei temi più che agli errori ortografici o alla capacità di risolvere un problema più che alla conoscenza mnemonica delle tabelline». Quelle «vecchie reazionarie», manca soltanto da aggiungere. Non basta. Mentre la scuola deve fare i conti con le dimensioni bulimiche alle quali è stata lasciata arrivare la platea dei precari, la legge appena approvata stanzia due milioni di euro da qui al 2011 al fine di formare i docenti – si immagina pagando degli psicologi – preparandoli così «ad acquisire la competenza per individuare precocemente i segnali di disturbo» negli allievi. E ancora: la diagnosi «dovrà essere effettuata nell’ambito dei trattamenti specialistici già assicurati dal Sistema sanitario nazionale e sarà comunicata dalla famiglia alla scuola di appartenenza dello studente». Con i genitori che potranno anche chiedere, nel caso di un figlio “disturbato”, orari flessibili sui loro posti di lavoro. Basteranno un «due più due fa cinque» o qualche zampa di gallina scarabocchiata sul foglio. È il nuovo che avanza.

A questo indirizzo l’articolo completo.

Fausto Monici – commentatore

Non conosco Guido Mattioni, la sua professionalità e i suoi trascorsi, ma almeno nel caso della “legge sulla dislessia” ha preso un granchio pazzesco. Il suo articolo è talmente zeppo di luoghi comuni, preconcetti, ignoranza scientifica e acredine che non può aver vagliato un numero sufficiente di fonti, e attendibili, prima di scrivere ciò che ha scritto. Purtroppo, per tutti coloro che Vi leggono e che Vi ritengono credibili, non si salva una riga dell’articolo, da nessun punto di vista : scientifico, emotivo e politico. Sono genitore di un figlio dislessico e ci sono voluti anni, in un panorama di pressoché totale “ignoranza”, per inquadrare correttamente il problema e capire che non si trattava né di malattia nè di patologia e che non servivano né cliniche né ospedali. Non è stato facile per l’associazione (AID, Associazione Italiana Dislessia) e i seri professionisti (oggi ce ne sono parecchi) che da anni lavorano sul problema, far capire a genitori, insegnanti e politici che la priorità fondamentale era quella di trovare ed applicare le strategie migliori per insegnare (con successo) a questi ragazzi, affinché possano apprendere ed esprimersi con soddisfazione e sentirsi, come in effetti sono, persone normali (magari dotate anche di un filo di intelligenza in più). Per semplificare brutalmente, gli strumenti “compensativi” e “dispensativi” previsti dalla legge sono come gli occhiali per un miope o la carrozzella per un paraplegico. Li rifiutereste a chi ne ha bisogno ? E ancor più difficile è far capire che il nuovo e diverso approccio al processo di insegnamento / apprendimento è decisamente più efficace per tutti gli alunni, non solo per quelli che classifichiamo come “dislessici”, tra l’altro senza comportare un aggravio di lavoro per l’insegnante. Questo discorso non è assolutamente secondario, anzi. Per semplificare, una persona che legge lentamente o fa fatica a comprendere un testo (al disotto di precisi valori, con determinati test), viene chiamata “dislessica”. E chi legge appena più velocemente deve essere chiamato “somarone” ? e quello ancora un pochino più veloce sarà un “somaro” ? La dislessia non è una malattia che c’è o non c’è, ma solo il nome che diamo a certe difficoltà. È come se chiamassimo “lepre” chi corre i 100 metri in 10 sec. e “lumaca” chi ci mette 10 ore. Ma tra la “lepre” e la “lumaca” ci sono anche il cane, la tartaruga, la formica e chissà quanti altri, ognuno con una propria velocità. Il “diritto alla conoscenza” non è appannaggio del più veloce a leggere o di chi sa meglio le tabelline, e gli altri non sono dei diversi, perché con opportuni strumenti possono “apprendere”anche più dei primi. Capire che il processo di insegnamento deve adattarsi alle capacità di apprendimento è un passaggio epocale, che il sig. Mattioni ci creda oppure no. A un presbite dareste, per leggere, gli occhiali di un astigmatico ? Fatica, mal di testa e rifiuto lo prenderebbero al volo, esattamente come succede a un dislessico. Si sa, la “resistenza al cambiamento” è forte in ogni settore e ad ogni età, ma solo una mente ottusa non può dar valore a questo nuovo che avanza. La gente può anche avere opinioni diverse, ma dare spazio a una simile disinformazione crea solo danno, e non potete immaginare quanto. E’ addirittura ridicolo che un professionista della parola, come un giornalista (e quindi avvezzo a linguaggi e stili diversi), bolli come “linguaggio ostrogoto” una definizione tecnica contenuta nel testo della legge. È fondamentale invece che la legge parli delle «difficoltà nei processi linguistici di transcodifica», perché si rivolge ai professionisti del settore (non solo insegnanti) che ancora in gran parte pensano che la “lettura” sia un processo semplice e automatico. La frase significa che la lettura si compie attraverso almeno 3 fasi : il riconoscimento dei segni dell’ortografia, la conversione dei segni in suoni (secondo varie regole, perché ogni lettera ha un suono diverso a seconda del contesto), la ricostruzione delle stringhe di suoni in parole del lessico. La dislessia è questo, un malfunzionamento di questi meccanismi, niente a che vedere con la mancanza di volontà o il lazzaronismo, termini con cui sono sempre state etichettate le persone con queste difficoltà. Saperlo, come minimo aiuta l’insegnante a non perpetuare l’errore e a cercare modalità per consentire all’alunno di superare il problema e accedere alla “conoscenza”. Ma soprattutto gli consentirà di non sentirsi inferiore o diverso e di coltivare una giusta stima delle proprie capacità. Mi chiedo come mai Mattioni non sia stato colto dal desiderio di farsela spiegare e mi auguro che non debba mai commentare una legge nei campi dell’ingegneria, della medicina o della biologia. La sua disinformazione, o la malafede, o la leggerezza con cui ha scritto quest’articolo sono talmente grandi, e abbracciano talmente tanti ambiti, che farò fatica a dare un minimo di credibilità ad altri suoi scritti, qualora mi capitasse di leggerne ancora. Ma perché ha scritto un articolo del genere ? non ci sono buoni propositi. O il giornalista non si rende conto delle conseguenze o tutto è fatto ad Arte : lo “scandalismo” paga di più? Resta anche l’ipotesi che non sappia fare il suo mestiere. Io mi chiedo soltanto a chi abbia messo a servizio i suoi valori di professionalità e serietà, e dove abbia perso il senso del rispetto per le persone, le professioni e la verità.

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