Da oggi sono un foneros, con la mia connessione fotonica!!

FON è una rivoluzione. Il nostro obbiettivo è quello di creare un infinita rete WiFi che consenta a tutti i membri della community FON di condividere, non solo la propria connessione a banda larga, ma anche esperienze e idee.

Ho fatto copia e incolla dal blog Fon http://blog.fon.com/it/ curato da Stefano, che mi ha fatto conoscere il mondo Fon, e lo ringrazio per questo.

Fonera, è un nome un po’ stravagante per una connessione internet senza fili, ma comunque un progetto interessante a cui partecipo molto volentieri.

Poi spero soltanto che Telecom mi fornisca una connessione decente per offrire ai viandanti di P.zza del Popolo una connessione internet che un mio lettore, scomodando la fisica quantistica ha definito “fotonica”!! Sto cercando di recuperare dalla mia grigia memoria se la definizione può essere in un certo senso anche appropriata, visto che è la prima volta che qualcuno me la suggerisce. Non lo so, comunque qualche giretto sul web potrà soddisfare la nostra curiosità.

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Il vecchio e il nuovo Pasquino.

Vi sarete certo accorti che un lettore del mio blog si firma Pasquino, credo prendendo in prestito il nome dal più celebre Pasquino romano.

Ma chi è un vecchio lettore di www.orvietonews.it ricorderà che questa firma non è nuova per il nostro giornale.

Tra il 2000 e il 2001 sulle pagine di www.orvietonews.it pubblicavamo una rubrichetta satirica chiamata “Il Pasquino” che niente ha a che fare con il Pasquino di questo blog.

Ne ho avuto la conferma ieri quando ho casualmente incontrato il “vero” Pasquino, quello delle pasquinate sul primitivo www.orvietonews.it.

Il Pasquino di allora fu un fatto davvero casuale, anche se molti attori della politica di allora pensarono che ci fosse dietro un progetto politico (di destra). Penso ne fosse convinto anche Stefano Cimicchi, ricordo ancora una lunga conversazione telefonica proprio su questo tema.
In realtà non era affatto così, tutto nacque per puro caso, e il Pasquino era un personaggio totalmente al di fuori della scena politica della città e, almeno credo, con ideali politici molto vicini alla maggioranza della politica cittadina.

Negli archivi di orvietonews ho ritrovato una pasquinata di allora, eccola

Stò giornale l’è poraccio,
nun pò scrive ‘na parola,
chi s’in..zzza,
chi l’ammazza,
de’ promesse, poe de’ fatte,
e lo Scevola de’ turno,
pèsse degno de tribuno,
che se taja, mano manca o quella dritta?
La questione, tra le foje, le fojetti,
de’ partiti dipartita,
pènne spada perijosa
e pe’ tutte sté mancanze,
chi d’umore nun se sposa,
je prepara come a ‘n pesce,
na sonata de’ mattanze!

la dedico al mio/a amico/a Pasquino ormai depasquinizzato.

Ieri abbiamo ripercorso con velata malinconia quelle tappe che furono storiche per questo giornale. Gli/le ho anche chiesto se per caso non fosse stato/a disposto a lasciare di nuovo i suoi digitali foglietti sotto la statua di orvietonews.it, ma nel suo caldo e cordiale “forse” ho letto un discreto e sincero “no”.

Peccato, in ogni caso le porte telematiche di orvietonews.it e soprattutto di questo blog sono aperte a tutti, vecchi e nuovi pasquini.

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Editori, autori e modelli di business.

Ho aspettato anche troppo prima di inserire un nuovo post, questo di prima ha prodotto una discussione molto interessante che di certo non mi aspettavo.

Ma come dice Monica Riccio ormai è un post OT (off-topic – fuori argomento) e quindi non esito a postare ancora.

La lunga vita del post precedente mi ha bloccato perlomeno un paio di argomenti.

In primo luogo vorrei salutare con affetto Monica Riccio che ci ha raccontato le sue dimissioni in tempo reale. La ringrazio per aver scelto il mio blog per farlo. So che non è stata una scelta ma un fatto casuale, in ogni caso avrebbe potuto anche scegliere di non esporsi così. Quindi grazie.

Vorrei ringraziare anche Giorgio per aver tenuto alto il livello di quella discussione.

Ma torniamo al vero tema della discussione.

Purtroppo il meeting ANSO di ottobre è scivolato via senza che gli attori dell’informazione di questa città se ne accorgessero più di tanto. Eppure Vittorio Pasteris (La Stampa Web), Massimo Razzi (Repubblica.it), Stefano Vitta (Bloggers.it) e Luca Conti (Pandemia) ci hanno fatto vivere qualche ora di vero confronto sul valore dell’informazione sul web e non solo.

Però Monica Riccio e Dante Freddi c’erano, quindi mi sono testimoni.

In quel meeting però c’è strato un intervento in apparenza OT, quello di Luca Tomassini.

Forse il modo un po’ americaneggiante di esprimersi e di proporsi di Luca ha portato qualcuno fuori strada, ma in realtà il suo intervento conteneva uno spunto di riflessione fondamentale.

Il modello di business.

Qual’è il modello di business delle aziende editoriali? E di quelle locali?

Io me lo sono chiesto molte volte e ce lo siamo chiesti decine di volte in sede associativa. Ce lo siamo anche chiesti io e Dante Freddi quella stessa sera a cena (ci siamo ritrovati allo stesso tavolo).

Questo è il vero nocciolo della questione. Come fa a sopravvivere e a fare fatturato un’azienda che si occupa di editoria?

Questo è un argomento che apre decine di scenari, e questo post rischia di diventare lungo e brodoso a causa dei troppi se e dei troppi ma che dovrei inserire.

Ma fermiamoci ad alcuni punti fermi.

Chi vende giornali, di ogni tipologia, con gli incassi relativi alla vendita può coprire al massimo tra il 20 e il 50% delle spese (fonti amichevoli de “La Repubblica”, di carta). E chi fa free press non ha neanche quello. E neppure chi fa internet.

In Italia l’editoria è finanziata dallo stato (ovviamente non quella sul web!), secondo dei criteri vecchi e talmente scriteriati che l’inchiesta di Milena Gabbanelli di questo autunno mi ha aperto davvero gli occhi.

Quindi chi vuole pubblicare qualcosa deve vendere e crearsi un modello di business.

Ma quel modello di business è parte integrante del progetto editoriale.

Cioè, se si vuole sopravvivere si deve decidere di proporsi sul mercato. E il mercato detta regole e condizioni. Ma anche noi editori e autori si è parte di questo mercato, e anziché subire passivamente quelle regole, si deve cercare di controbatterle, di portare avanti le nostre condizioni, di passare a condurre quel gioco.

Qualcuno nel post precedente ha detto che all’epoca del Comune Nuovo (non come modello ma come esempio, ha poi precisato) c’era chi faceva le cose perché ci credeva, ora invece si fa solo per la pagnotta.

Quelle cose che si facevano per passione non erano un progetto editoriale con un modello di business, ma soltanto un progetto politico o forse un gioco.

I progetti politici si fanno nella politica e nei giornali di partito (finanziati dallo stato). Noi si cerca di realizzare un modello di business all’interno di un progetto editoriale. Mi sembra una cosa del tutto diversa che ho cercato (malamente) di spiegare.

Rispetto anche il pensiero di chi, come Giorgio, teme che i condizionamenti economici e politici possano influenzare la libertà di espressione di chi scrive, ma non mi sento parte di quella categoria.

Credo che il nostro lavoro sia influenzato da decine di fattori e in primo luogo dagli utenti stessi, ma non per questo mi sento un editore condizionato. E se anche lo fossi sarebbe un problema mio. Il nostro lettore avrà sempre l’opportunità di leggersi www.orvietosi.it, purché abbia un modello di business che lo faccia esistere.

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Giorgio Santelli lascia la direzione de “Il Vicino”

Come sapete in questo blog cerco tenervi informati sulla realtà editoriale locale. La notizia di questi giorni è che Giorgio Santelli lascia la direzione del mensile free-press “Il Vicino” edito da Easymedia.

In primo luogo, come lettore de “Il Vicino”, vorrei salutare con affetto Giorgio per il lavoro che ha svolto sicuramente con passione e dedizione, questa rivista è diventata uno degli appuntamenti mensili di questa città.

Permettetemi però di non essere d’accordo con quello che dice nell’editoriale di addio pubblicato sul numero attualmente in distribuzione e che potete leggere in PDF qui.

Vorrei subito fugare ogni dubbio sulla mia posizione, che non è né corporativa a sostegno dei colleghi editori né in qualche modo interessata economicamente perché come credo molti sanno i legami tra la testata giornalistica che edito (www.orvietonews.it) e l’agenzia Easymedia sono soltanto di carattere commerciale legati alla raccolta pubblicitaria. Quindi con le vicende editoriali de “Il Vicino” non ho niente a che fare.

Non mi è piaciuta la rivendicazione sindacale di Giorgio nei confronti dei suoi editori. Mi è sembrata una forzatura, come un trascinamento delle vicende sindacali dei giornalisti nazionali trasportate a forza in vicende locali che niente hanno a che vedere con quelle rivendicazioni.

Giorgio parla di precarietà e di lavoro intellettuale sottopagato come se non fosse consapevole che se un prodotto come “Il Vicino” non fosse portato avanti in forma “precaria” non sarebbe mai stato stampato.

Con quale forza economica un editore che fa una free-press locale che sopravvive pareggiando i conti (spero per loro) può garantire un contratto non precario ai suoi collaboratori?

A livello nazionale ha ragione. Basti pensare a come sono trattati economicamente molti corrispondenti locali dei quotidiani cartacei. Ma a livello locale le cose sono e debbono essere diverse, altrimenti si fa lo stesso errore di confondere il dipendente metalmeccanico della Fiat con l’unico dipendente metalmeccanico della mia officina meccanica. A mio avviso questo è l’errore dei sindacati (perlomeno da quando li conosco io). La difesa corporativa a prescindere dal contesto.

Non dico che il meccanico di Mirafiori debba essere tutelato in maniera diversa dal meccanico di Ciconia, ma i due meccanici operano e vivono in contesti ambientali, sociali e economici completamente diversi e di questo si dovrebbe tener conto. Non sono diventato leghista, ma realista.

Non credo nella flessibilità (precarietà) del lavoro, ma nella flessibilità dei contratti di lavoro, che è tutta un’altra cosa (magari se ne parlerà in un’altra occasione).

Ma torniamo a “Il Vicino”.

Il secondo motivo di disappunto è su questo passaggio di Giorgio:

Ma ci vuole coraggio. E non è la censura esercitata da terzi, da pressioni politiche od economiche a dover preoccupare (e che comunque esiste), ma quella esercitata dagli stessi operatori dell’informazione e dagli editori che molte, troppe volte si auto-censurano per campare tranquilli. C’è chi è costretto a non scontentare nessuno per acquisire pubblicità; chi è costretto dai tempi dell’informazione quotidiana a dare più spazio (giustamente) alla cronaca e meno spazio all’approfondimento e all’inchiesta; chi, da editore non puro, si sente in obbligo di fare informazione “morbida” perché altrimenti la propria azienda corre dei rischi.”

Questo è un discorso vecchio come il cucco (si dice dalle mie parti) e un falso problema. E’ chiaro che stare sul mercato significa scendere a compromessi. Gli editori non si auto-censurano, ma fanno delle scelte editoriali.

Non servono giornali “puri” non vincolati a qualcosa o a qualcuno, politica, economia, religione.

Servono pluralismi.
Servono più opportunità.

D’altra parte chi dovrebbe essere il garante di questa purezza? E il controllore? E chi è che si sente puro e libero, non vincolato a nessuno?

E’ per questo che dopo che ci si è abituati a internet non se ne può più fare a meno. Perché su internet si hanno infinite opportunità e quindi si ha la più grande libertà di informazione che sia mai esistita. Si può leggere la stessa notizia da decine di fonti diverse. Così non è importante sapere se quell’autore o quell’altro hanno dei vincoli con qualcosa o qualcuno. Si possono vedere molti punti di vista dello stesso problema e poi trarne le personali conclusioni. E’ l’apoteosi del pluralismo e della libertà. E’ per questo che fa paura a molti, come a alcuni dei nostri politici, purtroppo.

Ma tornando all’editoria tradizionale (carta, televisione) non servono editori liberi, ma servono più editori. E non servono giornalisti liberi, ma più giornalisti capaci.

Sta ai legislatori governare questi processi, non censurando, ma aprendo la strada alle opportunità facendo funzionare veramente le leggi antitrust e facendo delle nuove leggi realistiche che aiutino tutti gli attori dell’informazione, e non i soliti noti.

Insomma, se gli investitori del “Il Vicino” fossero in maggioranza le concessionarie automobilistiche, si potrebbe pretendere che il mensile portasse avanti una campagna contro l’uso dell’automobile a vantaggio delle biciclette?

Questa sarebbe la libertà a cui si pensa?

Non credo. Io voglio essere libero di leggere più cose, non di leggere un giornale il cui direttore si proclama “libero”.

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