Come sapete in questo blog cerco tenervi informati sulla realtà editoriale locale. La notizia di questi giorni è che Giorgio Santelli lascia la direzione del mensile free-press “Il Vicino” edito da Easymedia.
In primo luogo, come lettore de “Il Vicino”, vorrei salutare con affetto Giorgio per il lavoro che ha svolto sicuramente con passione e dedizione, questa rivista è diventata uno degli appuntamenti mensili di questa città.Permettetemi però di non essere d’accordo con quello che dice nell’editoriale di addio pubblicato sul numero attualmente in distribuzione e che potete leggere in PDF qui.
Vorrei subito fugare ogni dubbio sulla mia posizione, che non è né corporativa a sostegno dei colleghi editori né in qualche modo interessata economicamente perché come credo molti sanno i legami tra la testata giornalistica che edito (www.orvietonews.it) e l’agenzia Easymedia sono soltanto di carattere commerciale legati alla raccolta pubblicitaria. Quindi con le vicende editoriali de “Il Vicino” non ho niente a che fare.
Non mi è piaciuta la rivendicazione sindacale di Giorgio nei confronti dei suoi editori. Mi è sembrata una forzatura, come un trascinamento delle vicende sindacali dei giornalisti nazionali trasportate a forza in vicende locali che niente hanno a che vedere con quelle rivendicazioni.
Giorgio parla di precarietà e di lavoro intellettuale sottopagato come se non fosse consapevole che se un prodotto come “Il Vicino” non fosse portato avanti in forma “precaria” non sarebbe mai stato stampato.
Con quale forza economica un editore che fa una free-press locale che sopravvive pareggiando i conti (spero per loro) può garantire un contratto non precario ai suoi collaboratori?
A livello nazionale ha ragione. Basti pensare a come sono trattati economicamente molti corrispondenti locali dei quotidiani cartacei. Ma a livello locale le cose sono e debbono essere diverse, altrimenti si fa lo stesso errore di confondere il dipendente metalmeccanico della Fiat con l’unico dipendente metalmeccanico della mia officina meccanica. A mio avviso questo è l’errore dei sindacati (perlomeno da quando li conosco io). La difesa corporativa a prescindere dal contesto.
Non dico che il meccanico di Mirafiori debba essere tutelato in maniera diversa dal meccanico di Ciconia, ma i due meccanici operano e vivono in contesti ambientali, sociali e economici completamente diversi e di questo si dovrebbe tener conto. Non sono diventato leghista, ma realista.
Non credo nella flessibilità (precarietà) del lavoro, ma nella flessibilità dei contratti di lavoro, che è tutta un’altra cosa (magari se ne parlerà in un’altra occasione).
Ma torniamo a “Il Vicino”.
Il secondo motivo di disappunto è su questo passaggio di Giorgio:
“Ma ci vuole coraggio. E non è la censura esercitata da terzi, da pressioni politiche od economiche a dover preoccupare (e che comunque esiste), ma quella esercitata dagli stessi operatori dell’informazione e dagli editori che molte, troppe volte si auto-censurano per campare tranquilli. C’è chi è costretto a non scontentare nessuno per acquisire pubblicità; chi è costretto dai tempi dell’informazione quotidiana a dare più spazio (giustamente) alla cronaca e meno spazio all’approfondimento e all’inchiesta; chi, da editore non puro, si sente in obbligo di fare informazione “morbida” perché altrimenti la propria azienda corre dei rischi.”
Questo è un discorso vecchio come il cucco (si dice dalle mie parti) e un falso problema. E’ chiaro che stare sul mercato significa scendere a compromessi. Gli editori non si auto-censurano, ma fanno delle scelte editoriali.
Non servono giornali “puri” non vincolati a qualcosa o a qualcuno, politica, economia, religione.
Servono pluralismi.
Servono più opportunità.
D’altra parte chi dovrebbe essere il garante di questa purezza? E il controllore? E chi è che si sente puro e libero, non vincolato a nessuno?
E’ per questo che dopo che ci si è abituati a internet non se ne può più fare a meno. Perché su internet si hanno infinite opportunità e quindi si ha la più grande libertà di informazione che sia mai esistita. Si può leggere la stessa notizia da decine di fonti diverse. Così non è importante sapere se quell’autore o quell’altro hanno dei vincoli con qualcosa o qualcuno. Si possono vedere molti punti di vista dello stesso problema e poi trarne le personali conclusioni. E’ l’apoteosi del pluralismo e della libertà. E’ per questo che fa paura a molti, come a alcuni dei nostri politici, purtroppo.
Ma tornando all’editoria tradizionale (carta, televisione) non servono editori liberi, ma servono più editori. E non servono giornalisti liberi, ma più giornalisti capaci.
Sta ai legislatori governare questi processi, non censurando, ma aprendo la strada alle opportunità facendo funzionare veramente le leggi antitrust e facendo delle nuove leggi realistiche che aiutino tutti gli attori dell’informazione, e non i soliti noti.
Insomma, se gli investitori del “Il Vicino” fossero in maggioranza le concessionarie automobilistiche, si potrebbe pretendere che il mensile portasse avanti una campagna contro l’uso dell’automobile a vantaggio delle biciclette?
Questa sarebbe la libertà a cui si pensa?
Non credo. Io voglio essere libero di leggere più cose, non di leggere un giornale il cui direttore si proclama “libero”.